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PILLOLE di DIRITTO - Pubblicazioni

Studio Legale Avv. Davide De Matteis

Separazione e denuncia per maltrattamenti – sentenza Tribunale Bologna n. 7185/2023

Indice

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE

Si è proceduto nei confronti di Bo.Sa. con giudizio ordinario per il delitto di cui all’art. 572, commi 1 e 2, c.p., così come da imputazione formulata nel decreto ex art. 429 c.p.p. che tale giudizio ha disposto e datato 28 settembre 2021.

In prima udienza, tenutasi in data 27 gennaio 2022, rilevato il mancato perfezionamento della notifica del decreto che dispone il giudizio all’imputato, si rinnovava l’adempimento con rinvio per medesimi incombenti al 31 marzo 2022.

Alla predetta udienza, controllata la regolare costituzione delle parti, si disponeva procedersi in assenza dell’imputato e, aperto il dibattimento, le prove venivano ammesse così come richieste.

In data 24 novembre 2022, presente l’imputato, prendeva avvio l’istruttoria attraverso l’escussione dei testi St.Lu., Di.Nu., Be.Ma., Bo.Da., nonché della persona offesa Me.El.. Il Pubblico Ministero rinunciava ai testi Ar.Sa. e Ci.Al., che venivano revocati, e chiedeva la correzione dell’errore materiale contenuto in imputazione circa il nome della persona offesa, da intendersi Me. “Fa.Ez.” e non Me. “El.”. Il Tribunale disponeva in conformità.

All’udienza del 4 maggio 2023, mutata la composizione del Collegio, si rinnovava l’apertura del dibattimento, le parti si richiamavano alle precedenti istanze istruttorie e il Tribunale rinnovava la relativa ordinanza ammissiva, dichiarando utilizzabili mediante lettura le prove già assunte. Si procedeva all’escussione della teste – persona offesa Me.Fa., rinviandosi per l’esaurimento dell’istruttoria al 16 novembre 2023.

In tale data, si procedeva all’audizione del teste Co.Ro., a seguito del quale il Pubblico Ministero rinunciava al teste Gr., che, pertanto, veniva revocato. Con il consenso delle parti si acquisiva la relazione di servizio del 13.4.2029 a firma Sc.Vi. ed il Pubblico Ministero rinunciava ai testi residui Sc. e Ri., che, pertanto, venivano revocati. L’istruttoria proseguiva con l’escussione del teste a difesa Sabelli Angela, mentre vi era rinuncia dell’ulteriore teste Ma., il quale veniva revocato. Seguiva l’esame dell’imputato e la produzione da parte della difesa dello stesso di ricevute di pagamento attestanti le spese sostenute per il mantenimento familiare. Stante l’assenza ingiustificata, si disponeva per l’udienza di rinvio l’accompagnamento coattivo della teste a difesa Ma.Ch., nonché la nuova audizione ai sensi dell’art. 507 c.p.p. del teste Me.Mi..

All’udienza del 21 dicembre 2023 venivano escussi i testi Me.Mi. e Ma.Ch.. Conclusasi così l’istruttoria, le parti venivano invitate a discutere e le stesse concludevano concordemente con richiesta di pronuncia assolutoria.

Il presente procedimento prende avvio dall’atto di denuncia-querela sporto da Me.Fa. 19 agosto 2020, querela effettuata a seguito dell’intervento richiesto da un vicino di casa (1) per una lite in corso presso lo stabile di via (…), da parte della Carabinieri del N.O.R.M. di Bologna.

Come riportato dal Mar. St. in sede di testimonianza, quella notte, unitamente al collega Ci., veniva inviato dalla centrale operativa all’indirizzo summenzionato, ove contattavano la presunta vittima – Me.Fa. – la quale rappresentava di rifiutarsi di aprire la porta di casa al marito, ovvero l’odierno imputato, in quanto ritenuto sotto l’effetto di sostanze alcoliche. A quel punto, i militari procedevano all’identificazione dell’uomo – per l’appunto Bo.Sa. – che si trovava all’esterno del palazzo, nelle strette adiacenze del portone d’ingresso, il tutto mentre la moglie, che, invece, rimaneva all’interno dell’appartamento, procedeva a sporgere querela.

Me.Fa., escussa in dibattimento, ha offerto un narrato estremamente scarno, del tutto disinteressato, la cui ricostruzione si è resa possibile solo grazie alle contestazioni reiteratamente effettuate Pubblico Ministero, il cui esito è stato quello di ottenere laconiche risposte di conferma alle precedenti dichiarazioni rilette in udienza. A chiosa della deposizione, ella ha dichiarato di essersi recata oltre un anno orsono per rimettere la querela, ma che ciò le è stato impedito perché inutile, ribadendo poi tale volontà, per quanto occorrer possa, in sede processuale (2).

In sintesi, la persona offesa ha confermato di essersi sposata – con matrimonio concordato – in Marocco con Bo.Sa. nel 2011 e di aver avuto con lui due figli, Ab. (classe 2011) e An. (classe 2012). Il matrimonio entrava in crisi già nell’anno 2014, quando ancora erano in Marocco, a causa della gelosia e dell’uso di sostanze alcoliche da parte del marito, ma, dopo una prima separazione, la persona offesa decideva di riconciliarsi con il marito per il bene della famiglia. Da quel momento, ella veniva picchiata con cadenza settimanale, quando Bo.Sa. si presentava a casa ubriaco, in alcuni casi i vicini di casa avevano richiesto l’intervento delle forze dell’ordine; così era stato quella sera del 19 agosto e così era accaduto il precedente giorno 8 del medesimo mese, quando, lasciato fuori di casa, reagiva rompendo il portone del palazzo. Ancora, su lettura del Pubblico Ministero, Me. confermava l’ulteriore contenuto della querela, ovvero che il primo litigio in Italia si è verificato a febbraio del 2019, quando, sempre per questioni di gelosia legate ad una chiamata ricevuta da uno sconosciuto, l’imputato la colpiva con calci e schiaffi, versando candeggina dappertutto e rinchiudendola in una stanza. Durante questo episodio i bambini non erano presenti, perché ancora in Marocco dai nonni, mentre lo erano in quelli successivi, ove si nascondevano in una stanza, udendo solo le urla. In occasione dell’episodio dell’8 agosto 2020, l’imputato, avendo il sospetto che ella facesse uso di stupefacenti, a causa delle tracce di cipria presenti sul di lei naso, s’infuriava, mettendole le mani addosso, tanto da procurarle “guance gonfissime” per gli schiaffi ricevuti (3).

Profondamente diversa é la ricostruzione dei fatti offerta dall’imputato in sede di esame dibattimentale (4). Egli ha dichiarato di essersi sposato “per amore” con la persona offesa nell’anno 2011, dopo un periodo di fidanzamento durato nove mesi. Per il matrimonio Bo.Sa. è tornato in Marocco dall’Italia, dove si trovava per ragioni di lavoro e vi faceva poi ritorno subito dopo le nozze. Nel 2012 decideva di tornare in Marocco e lì rimaneva a vivere insieme alla famiglia. Nel 2018 la moglie si determinava a voler raggiungere in Italia i di lei genitori, così partiva da sola nella primavera/estate di quell’anno, mentre l’imputato si occupava dei figli rimasti con lui in Marocco. Dopo che il padre di lei era riuscito a trovarle un’abitazione, si trasferiva anche Bo.Sa., il quale reperiva immediatamente lavoro come autista del furgone consegne a domicilio presso la Coop di Castel Maggiore (BO). Una volta ottenuto il contratto a tempo indeterminato – estate 2019 – si trasferivano in Italia anche i figli della coppia. A detta dell’imputato, era da quel momento che cominciavano a sorgere problemi con la moglie, la quale, nel frattempo, aveva perso il lavoro come badante a causa del decesso del proprio assistito. In sintesi, egli rappresentava che, tornato tardi dal lavoro, lei speso non gli apriva la porta di casa, oltre che non fargli trovare nulla di pronto. Siccome egli non aveva un paio di chiavi a sua disposizione, se usciva per prendersi da mangiare o bere una birra con amici, poi non riusciva a rincasare perché Me. non gli apriva (5), lasciandolo a dormire sulle scale, quando non riusciva a trovare ospitalità da amici (6). La moglie, infatti, non voleva che lui avesse le chiavi di casa, nonostante l’affitto fosse esclusivamente a carico di Bo.Sa.; vi erano due mazzi di chiavi e uno l’aveva la moglie e l’altro il di lei padre.

Egli negava di essere dipendente dall’alcool e non si riusciva a spiegare il perché del comportamento di Me., del motivo della denuncia e, ancor prima, del suo comportamento, riferendo unicamente che capiva che lei voleva allontanarlo, ma lui non l’assecondava, perché comunque ne era innamorato e voleva stare con i suoi figli. Per questo, a suo parere, la moglie ha finito con richiedere l’intervento delle forze dell’ordine e denunciarlo, ritenendo che fosse l’unico modo per allontanarlo coattivamente. Nel dettaglio, l’imputato affermava di non sapere quale fosse il problema della moglie, che gli era venuto il sospetto che avesse un altro e per questo volesse allontanarlo. Lui più volte le aveva detto che, se era così, bastava dirlo, almeno se ne sarebbe andato, ma lei rispondeva di no, dicendo cose che lui non capiva e agendo in modo strano, urlando e reagendo in modo aggressivo anche a semplici scherzi. Una tale situazione si era verificata, per l’appunto, la sera dell’8 agosto 2020, quando dopo aver bevuto insieme in casa qualche birra, lui le avrebbe fatto una battuta scherzosa sulla cipria che lei aveva sul naso, chiedendole se non facesse uso di sostanze stupefacenti. A tale contegno Me. reagiva graffiandolo al petto, urlando e poi chiamando le forze dell’ordine.

Bo.Sa. negava di aver mai alzato le mani nei confronti della moglie, dichiarando di amarla ancora e di aver sempre provveduto al di lei mantenimento (oltre che a quello dei figli), anche dopo il suo allontanamento. Proprio in relazione a quest’ultimo aspetto, l’imputato riportava che, nonostante egli avesse sempre corrisposto alla moglie il denaro per l’affitto, era stato contattato dal padrone di casa -tale “Sig. Ci.” – il quale gli comunicava che avrebbe dovuto sfrattare la moglie e i figli per mancato pagamento dei canoni. Per evitare tale conseguenza, Bo.Sa. si era fatto carico di pagare nuovamente i canoni arretrati, versando alla moglie un importo mensile maggiorato ad euro 750 (anziché 500), senza che tuttavia Me. destinasse tale somma al corrispettivo per la locazione, tanto che, in effetti, veniva sfrattata dall’appartamento di via Tagliamento e presa in carico anche a livello abitativo dai servizi sociali territoriali (7).

Orbene, l’istruttoria si compone di ulteriori elementi di prova rispetto ai dichiarati -profondamente divergenti – di imputato e persona offesa, i quali portano ad incrinare l’attendibilità di Me., riscontrando, al contrario, sotto taluni aspetti quanto affermato dall’imputato, sicché – s’anticipa – s’impone l’adozione di una pronuncia assolutoria a favore di Bo.Sa..

Innanzitutto, soccorrono le informazioni acquisite dai vicini di casa della coppia, i quali sostanzialmente tutti confermavano di aver sentito marito e moglie litigare diverse volte, con toni alti, ma con preponderanza della donna, la quale si mostrava aggressiva anche nei loro confronti, mentre il marito sì poneva in maniera molto più educata. Più volte avevano visto quest’ultimo rimanere fuori di casa perché la moglie non gli apriva la porta, trovandolo anche a dormire sul pianerottolo.

Segnatamente e in sintesi, Be.Ma. (8), dimorante nell’appartamento di fronte a quello della coppia, riportava di aver sentito litigare i vicini più volte. Si trattava di discussioni limitate ad urla del tutto reciproche. E’ capitato che Bo.Sa. gli suonasse il campanello a tarda notte, forse sbagliando appartamento. In un’occasione l’uomo, proprio perché non riusciva ad entrare in casa, dal nervoso rompeva con un calcio il vetro del portone, scusandosi immediatamente e riparandolo il giorno dopo. La moglie, al contrario, era molto aggressiva ed una volta è capitato che avessero un litigio a causa di banali regole d’educazione che lei non sapeva rispettare.

Bo.Da., residente nell’appartamento a fianco a quello dell’imputato, confermava di aver sentito litigare frequentemente la coppia, con “bussi” e urla “da parte soprattutto di lei”. Egli non riusciva a capire il motivo dei dissidi, in quanto parlavano in arabo, ma supponeva che “il problema di tutto è dovuto a lei” (9).

Du.Ni., dimorante in un appartamento posto sullo stesso corridoio di quello dei coniugi, confermava di averli sentiti litigare. Il motivo non poteva comprenderlo, in quanto parlavano in arabo, ma le discussioni si svolgevano con urla reciproche. Ella si rammentava che una sera, nella primavera del 2020, vedeva l’imputato ubriaco e poco dopo arrivava la Polizia; la circostanza l’aveva sorpresa, in quanto Bo.Sa. si era dimostrato sempre una persona molto gentile e rispettosa e mai l’aveva visto in quelle condizioni. Era l’unica volta, infatti, che l’aveva visto ubriaco, mentre era capitato di vederlo dormire fuori di casa sul tappetino d’ingresso, perché la moglie non gli apriva la porta (10). Dal complesso dei dichiarati dei vicini di casa emerge, dunque, che la coppia era in forte crisi e litigava spesso, ma le discussioni si svolgevano verbalmente ed erano connotate da aggressività reciproca, con il sovrastare della moglie. Me. si presentava come donna dal comportamento aggressivo, mentre il marito dall’indole più pacata e rispettosa. Bo.Sa. veniva lasciato più volte fuori di casa e non poteva farvi ingresso, tanto da essere anche costretto a dormire nel pianerottolo.

Tali circostanze venivano poi sostanzialmente confermate dal teste Me.El., padre della persona offesa. Egli, con toni molto pacati, dichiarava di non aver mai assistito personalmente a nulla, ma che la figlia gli aveva raccontato che il marito faceva uso di alcool e le urlava contro, limitando l’aggressività a quella verbale. Rappresentava, però, che la figlia non era mai andata d’accordo “con questo signore” e “si è iniziata ad allontanare da lui fino a che lui non è andato fuori di casa”. Spiegava che ella era una persona “educata, studiata, non ignorante”, ma che ha avuto problemi con la nascita dei figli avuti in giovane età e probabilmente per questo le “è venuto l’esaurimento”. Richiesto dal Tribunale di meglio circostanziare quanto affermato ed i motivi dei litigi tra la figlia ed il marito, il teste non riusciva fornire una spiegazione, provando anch’egli – evidentemente preoccupato – a cercare di capire il perché del comportamento della figlia, la quale era stata da poco sfrattata, lasciata fuori di casa “con il diluvio” insieme ai figli (11).

Me. confermava che l’imputato si era sempre preoccupato di mantenerla, anche una volta uscito di casa, inviandole mensilmente il denaro comprensivo del canone d’affitto, ma che, nonostante ciò, la figlia non aveva corrisposto quanto dovuto al padrone di casa e per questo era stata sfrattata insieme ai suoi bambini. Solo grazie ai servizi sociali e alla Croce Rossa ella aveva trovato un alloggio temporaneo e i minori non erano stati allontanati dalla madre.

Il teste, richiesto espressamente circa il possesso o meno da parte dell’imputato delle chiavi di casa, affermava di non sapere nulla di specifico, ma indirettamente confermava quanto dichiarato da Bo.Sa., ovvero che quest’ultimo non disponesse di un mazzo di un proprio chiavi. Era stato lui stesso a reperire l’abitazione per la figlia e la di lei famiglia ed aveva ritirato personalmente le chiavi dal padrone di casa, suo amico. Tre erano i mazzi: uno era rimasto per sicurezza al locatore, uno lo aveva lui e uno solo, dunque, era rimasto alla coppia (12).

Sul punto occorre evidenziare che la persona offesa ha negato che Bo.Sa. non disponesse di un mazzo di chiavi proprie (13), circostanza smentita da quanto emerso dalle prove acquisite in dibattimento e sopra riportate. Soccorre in tale senso anche quanto appurato personalmente dalle forze dell’ordine intervenute il 19 agosto 2020; l’imputato, infatti, veniva trovato al di fuori del palazzo, peraltro non in stato d’ubriachezza, come invece sostenuto dalla persona offesa (14).

Ancora, di rilevanza significativa – nell’ottica del vaglio di attendibilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa – appare quanto dichiarato dall’agente Cosentino, intervenuto presso l’abitazione di via (…) la sera dell’8 agosto 2020. Egli ha fatto ingresso nell’appartamento, accertandosi di persona e nell’immediatezza delle condizioni in cui versavano quella sera persona offesa ed imputato. Nessun segno di violenza – anche minimo – è stato riscontrato dall’agente in capo a Me., circostanza che collide apertamente con quanto dalla stessa riportato in sede di querela, ovvero che gli operanti la rinvenivano con il viso gonfissimo dagli schiaffi (15). Orbene, data la parte del corpo interessata, se così fosse realmente stato, gli agenti intervenuti non avrebbero potuto non notarlo – e quindi segnalarlo – mentre Cosentino, richiesto più volte sul punto, ha negato che la donna presentasse qualsiasi segno di violenza. Al contrario, il teste ha confermato che l’imputato presentava evidenti segni di graffi sul petto.

Non può che prendersi atto, dunque, della non corrispondenza al vero di quanto dichiarato dalla persona offesa.

Nemmeno può tralasciarsi che a livello intrinseco dichiarato di Me. presenta alcune criticità, le quali – oltre che alla già anticipata laconicità nel confermare quanto anni prima dichiarato alle forze dell’ordine solo a seguito di lunghe e puntuali contestazioni – riguardano la presenza o meno dei figli agli episodi asseritamente maltrattanti. Se, infatti, in un primo momento, sempre sulla sollecitazione della contestazione operata dal Pubblico Ministero, confermava che gli stessi non erano presenti in quello di aprile, perché ancora in Marocco dai nonni, ma lo erano a quelli successivi, tanto che si rifugiavano in camera ove comunque sentivano le urla, successivamente nel corso del medesimo esame, su domande del Tribunale, dichiarava che i figli non avevano mai assistito ad alcunché. Solamente la notte dell’8 agosto 2020, erano stati svegliati dal trambusto causato dall’arrivo della Polizia ed erano, dunque, presenti quando gli agenti hanno fatto ingresso all’interno dell’abitazione, non assistendo a quanto occorso in precedenza tra i due coniugi (16).

Siffatta circostanza, oltre che portare ad escludere la sussistenza dell’aggravante contestata, fa luce – in negativo – sulla coerenza del dichiarato della persona offesa.

Alla luce di quanto ricostruito, dunque, si delinea un quadro di indubbia ed accesa conflittualità coniugale, in seno al quale, tuttavia, non può dirsi che vi sia prova che l’imputato abbia posto in essere una condotta maltrattante della persona offesa. Il dichiarato di Me. si caratterizza per plurime criticità e trova parziali, ma significative, smentite negli ulteriori elementi istruttori acquisiti dibattimento, in modo che ne risulta profondamente minata l’attendibilità. E’ d’obbligo, dunque, l’adozione di una pronuncia assolutoria nei confronti di Bo.Sa.

P.Q.M.

Visto l’art. 530 c.p.p.,

assolve l’imputato dal delitto ascrittogli perché il fatto non sussiste.

Indica in giorni 30 il termine per il deposito della motivazione.

Così deciso in Bologna 21 dicembre 2023.

Depositata in Cancelleria il 29 dicembre 2023

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