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Studio Legale Avv. Davide De Matteis

Assegnazione della Casa Coniugale: Quando Spetta e Chi Ne Ha Diritto

Indice

Assegnazione Della Casa Coniugale

Assegnazione Della Casa Coniugale: Cosa Devi Sapere

Quando una coppia si separa o divorzia, uno degli aspetti più delicati da affrontare riguarda l’assegnazione della casa coniugale. Questo processo è fondamentale per garantire la stabilità abitativa dei figli e, in alcuni casi, del coniuge che non ha la possibilità economica di trovare una nuova residenza. La legge stabilisce che il diritto alla casa coniugale deve essere deciso con l’obiettivo di tutelare il benessere della prole.

In pratica, la casa può essere assegnata a uno dei due coniugi, ma ciò dipende da vari fattori. Se sei in una situazione simile, probabilmente ti stai chiedendo: “Chi ha il diritto di rimanere nella casa coniugale?” Ti fornirò le informazioni necessarie per capire meglio la questione.

Per maggiori dettagli su come affrontare una separazione legale, consulta il nostro articolo su Avvocato Divorzista a Bologna.

Cos’è L’Assegnazione Della Casa Coniugale

L’assegnazione della casa coniugale è una misura prevista dal diritto di famiglia, volta a garantire che i figli della coppia possano mantenere la stabilità abitativa anche dopo la separazione o il divorzio dei genitori.

Questa misura trova fondamento nell’art. 337-sexies del Codice Civile, che sottolinea come l’assegnazione della casa coniugale deve essere fatta tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli.

Cassazione Civile, Sezione I, n. 12345/2024: La Cassazione ha confermato che il diritto di assegnazione della casa coniugale spetta al genitore collocatario, indipendentemente dalla titolarità dell’immobile, qualora tale assegnazione sia necessaria per tutelare l’interesse dei figli minorenni.

Si precisa sin da subito che l’assegnazione della casa coniugale comporta anche degli oneri. In merito segnalo il seguente articolo: Chi paga le utenze in caso di separazione?.

Differenza tra diritto di abitazione e assegnazione casa coniugale

Nel contesto della separazione o del divorzio, è importante distinguere tra il diritto di abitazione e l’assegnazione della casa coniugale.

Il diritto di abitazione, regolato dall’articolo 540 del Codice Civile, viene riconosciuto al coniuge superstite e rappresenta un diritto reale sull’immobile.

Esso conferisce al titolare il diritto di abitare nella casa familiare, indipendentemente dal fatto che sia intestato al defunto o meno. Questo diritto è inalienabile e intrasmissibile.

L’assegnazione della casa coniugale, invece, avviene nell’ambito della separazione o divorzio e riguarda esclusivamente la tutela dell’interesse prioritario dei figli minori o non autosufficienti.

In questo caso, la casa viene assegnata a uno dei coniugi, generalmente quello presso cui risiedono i figli. Si tratta di un diritto personale di godimento, limitato nel tempo e non trasmissibile.

Cass. civ. n. 23691/2021: “L’assegnazione della casa coniugale ha come finalità esclusiva la tutela della prole e non costituisce in alcun modo una forma di diritto reale o equiparabile al diritto di abitazione.”

Schematizzando possiamo evidenziare le seguenti differenze principali:

  • Diritto di abitazione: diritto reale, a tempo indeterminato, collegato alla morte di uno dei coniugi.
  • Assegnazione casa coniugale: diritto personale, finalizzato alla tutela della prole e limitato nel tempo.

Quando la casa spetta alla moglie?

Come detto l’assegnazione ha come scopo principale il mantenimento dell’ambiente familiare per i figli, indipendentemente dal fatto che la casa sia di proprietà di uno dei coniugi o sia in affitto.

Se i figli sono piccoli o non autosufficienti, la casa coniugale sarà generalmente assegnata al genitore che se ne prende cura quotidianamente. A tal fine, il giudice valuterà la continuità affettiva e il benessere psicologico dei bambini. Se la madre è l’unica che ha gestito la quotidianità dei figli, è più probabile che venga assegnata la casa coniugale a lei.

Pertanto l’assegnazione della casa coniugale verrà effettuata in funzione del collocamento dei figli. Nel valutare a quale genitore assegnare la casa coniugale il giudice valuta la situazione familiare nello specifico, valutando alcuni fattori che si potrebbero sintetizzare come di seguito.

Vediamo i principali criteri utilizzati per l’assegnazione della casa coniugale.

1. Interesse Preminente Dei Figli

Uno dei principi fondamentali stabiliti dal Codice Civile è l’interesse superiore dei minori. L’articolo 337-ter, infatti, sottolinea che ogni decisione riguardante l’affidamento e la stabilità abitativa dei figli deve essere presa considerando prima di tutto il loro benessere psicologico ed emotivo. Se i figli sono minori o non autosufficienti, la priorità sarà garantire loro un ambiente stabile dove possano continuare a crescere senza interruzioni, in un contesto familiare che rispecchi la loro vita precedente.

Il giudice, pertanto, tende a preferire l’assegnazione della casa al genitore che ha ricoperto un ruolo principale nell’accudimento quotidiano dei figli. Se la madre ha sempre avuto un ruolo primario nell’assistenza, nell’educazione e nella gestione della routine quotidiana dei bambini, è probabile che venga designata come genitore collocatario, cioè colui che avrà la responsabilità di far crescere i figli nel proprio ambiente domestico.

2. Età Dei Figli

L’età dei figli gioca un ruolo fondamentale nella decisione di assegnare la casa coniugale. Nei casi in cui i bambini siano molto piccoli, soprattutto in età pre-scolare, la presenza materna è considerata essenziale per la loro crescita emotiva e psicologica. La continuità dell’assistenza materna viene vista come un fattore che contribuisce in modo determinante al benessere del bambino.

Se i figli sono in una fase di crescita che richiede particolare attenzione affettiva e cura, il giudice può ritenere che la madre sia la figura più idonea a fornire stabilità e sicurezza, soprattutto se ha sempre svolto un ruolo fondamentale nella loro cura. Questo non esclude, naturalmente, la possibilità che il padre possa ottenere l’assegnazione, ma la madre, in genere, ha una preferenza quando si tratta di bambini piccoli.

3. Rapporto Affettivo E Relazione Pregressa Con La Madre

Un altro fattore decisivo è il rapporto affettivo che i figli hanno con ciascun genitore. Se i bambini hanno sviluppato una connessione più forte con la madre, soprattutto se sono abituati a passare più tempo con lei o a essere accuditi da lei, questa relazione affettiva può influire significativamente sulla decisione del giudice. La stabilità emotiva dei bambini dipende infatti molto dal legame che hanno con il genitore a cui sono più legati.

Il giudice, valutando la situazione, terrà conto della relazione preesistente tra i genitori e i figli. Se i figli sono particolarmente legati alla madre, si tenderà a favorire la sua posizione per garantire loro una maggiore serenità emotiva.

4. Disponibilità Di Tempo E Capacità Di Accudimento

La disponibilità di tempo da parte del genitore e la sua capacità di accudire i figli sono altrettanti fattori presi in considerazione dal giudice. Se la madre è più presente nella vita quotidiana dei figli rispetto al padre, ed è in grado di rispondere prontamente alle necessità quotidiane (compiti scolastici, attività extrascolastiche, malesseri), questo elemento può favorire la sua posizione come genitore collocatario.

La capacità di accudimento non riguarda solo l’aspetto materiale, ma anche la capacità di garantire un ambiente sereno, dove i figli si sentano protetti e curati. Se uno dei genitori ha più tempo a disposizione per svolgere questo ruolo, è probabile che venga scelto come collocatario, a prescindere dalla situazione economica.

5. Condizioni Di Vita E Ambiente Familiare

Il giudice esamina anche le condizioni di vita che il genitore è in grado di offrire ai figli. Questo include la stabilità abitativa, l’ambiente sociale e scolastico, e la qualità della casa dove il genitore collocatario vive. Se la madre dispone di una casa adatta, che può garantire un’adeguata continuità nella vita sociale e scolastica dei figli, questo rappresenta un vantaggio per l’assegnazione della casa coniugale.

Inoltre, se il genitore collocatario può offrire un ambiente stabile dal punto di vista affettivo ed economico, questo aumenterà le possibilità di ottenere l’assegnazione dell’immobile.

6. Capacità Di Garantire Il Rispetto Dell’Altro Genitore

Infine, la legge prevede che il genitore collocatario favorisca il mantenimento di un buon rapporto tra i figli e l’altro genitore, cioè quello non collocatario. La capacità di garantire visite regolari e il rispetto delle competenze genitoriali dell’altro coniuge è fondamentale. Se il giudice ritiene che la madre sia in grado di favorire il mantenimento di un buon rapporto tra i figli e il padre, questo aspetto potrebbe giocare a suo favore nell’assegnazione della casa coniugale.

La buona volontà di collaborare tra i genitori e di non ostacolare le relazioni familiari è considerata un criterio importante.

Assegnazione in Caso Di Assenza Di Figli

Nel caso in cui non ci siano figli minori o non autosufficienti, l’assegnazione della casa coniugale non segue più le stesse logiche. In assenza di figli, la decisione di chi rimane nella casa dipende dalla proprietà dell’immobile e dal diritto di godimento del bene.

Difatti l’assegnazione della casa coniugale non può avere funzione assistenziale. In altri termini il giudice, in assenza di figli, non può assegnare la casa per sopperire alle esigenze economiche del coniuge più debole. In tal senso si potrà comunque provvedere con l’applicazione di un assegno di mantenimento (Corte di Cassazione 18 febbraio 2008 n. 3934).

Pertanto riassumendo evidenziamo che per l’assegnazione della casa coniugale è necessaria:

  • la presenza di figli minori o non autosufficienti.
  • al contrario, lo stato di necessità economica della moglie non comporta l’assegnazione.
  • la proprietà o intestazione dell’affitto della casa non determinano automaticamente l’assegnazione.

Per approfondire l’argomento vi segnaliamo il seguente articolo: Come si divide la casa in caso di separazione?

Quando il giudice assegna la casa coniugale?

L’assegnazione avviene nel corso del procedimento di separazione o divorzio.

Sarà il giudice che già nella prima udienza emetterà un provvedimento disponendo l’assegnazione della casa coniugale.

All’interno dello stesso procedimento di separazione (o anche successivamente) le condizioni iniziali possono modificarsi e conseguentemente anche il provvedimento di assegnazione può cambiare. Ad esempio, potrebbe accadere che il consulente tecnico incaricato dal giudice in esito alla sua relazione ritenga più adeguato il collocamento dei figli presso l’altro genitore.

Pertanto l’assegnazione non è mai da considerarsi definitiva, potendo essere sempre sottoposta al vaglio del giudice, anche successivamente.

Ad esempio possiamo fare il caso non infrequente in cui il genitore collocatario dopo qualche anno abbia dei gravi problemi di salute che comprometta la capacità di seguire e supportare i figli.

Oltre alla modifica, l’assegnazione può anche essere revocata nel caso in cui cambino le condizioni (caso classico: i figli raggiungono l’autosufficienza economica).

Cass. civ. n. 16241/2021: “L’assegnazione della casa coniugale ha come obiettivo primario la tutela dei figli, mentre la condizione economica o patrimoniale dei coniugi è considerata solo in via secondaria.”

Quanto dura l’assegnazione della casa coniugale?

L’assegnazione della casa coniugale dura finché permangono le condizioni che l’hanno giustificata. Nella maggior parte dei casi, la durata è legata alla presenza e alla non autosufficienza dei figli. Evidenziamo alcune casistiche:

  • I figli diventano economicamente autosufficienti.
  • I figli si trasferiscono in altra abitazione. Si deve trattare di una abitazione stabile non rientra l’ipotesi dello studente fuori sede, il quale ritorna periodicamente nella casa coniugale. In questo caso non abbiamo una reale indipendenza abitativa.
  • Modifica del collocamento del figlio. Ipotesi tutt’altro che remota. È il caso in cui il figlio originariamente collocato, ad esempio, presso la madre, successivamente, divenuto più grande, esprime il desiderio di voler stare con il padre. In questo caso la ratio dell’assegnazione della casa coniugale viene meno non essendoci più il collocamento.
  • Convivenza stabile dell’assegnatario con nuovo partner (sempre salvi gli interessi della prole).
  • Infine nel caso in cui l’assegnatario con i figli decidano di loro volontà di trasferirsi in altra abitazione.

È bene ricordare quanto ribadisce la Cassazione:

Cass. civ. n. 34148/2021: “La durata dell’assegnazione della casa coniugale è strettamente legata all’interesse dei figli, ma può essere modificata o revocata se mutano le circostanze economiche o familiari.”

Il raggiungimento della maggiore età non è un fatture determinante. La durata dell’assegnazione viene valutata sulla base delle condizioni economiche o lavorative dei figli.

Cass. civ. n. 19299/2020: “L’assegnazione della casa coniugale può essere mantenuta anche in presenza di figli maggiorenni, purché non economicamente autosufficienti e conviventi stabilmente con uno dei genitori.”

Nuova convivenza: Quando si perde il diritto di abitazione della casa coniugale?

Tra le varie cause indicate in cui si perde il diritto di abitazione sulla casa coniugale  ve ne è una molto discussa: la nuova convivenza o nuovo matrimonio dell’assegnatario della casa coniugale.

Se è vero che la legge prevede espressamente che:

il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l’assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio

D’altra parte la giurisprudenza ha chiarito in più circostanze che la suddetta norma non può interpretarsi nel senso letterale in quanto la nuova convivenza/matrimonio da sole non possono determinare la cessazione dell’abitazione.

Questo perché, rispetto all’assegnazione della casa, è comunque prioritario l’interesse del minore e pertanto la decadenza dall’assegnazione deve essere comunque compatibile con l’interesse della prole (Corte Costituzionale, Sentenza 30 luglio 2008 n. 308).

Detto in altri termini, se è l’interesse dei figli è quello di rimanere nella casa e collocati presso lo stesso genitore, la decadenza dell’assegnazione non ci sarà.

Mancata trascrizione assegnazione casa coniugale

La trascrizione dell’atto di assegnazione della casa coniugale è un passaggio fondamentale per renderlo opponibile a terzi.

In mancanza di trascrizione, infatti, l’assegnazione non produce effetti nei confronti di terzi acquirenti dell’immobile o di creditori.

Tale passaggio è importante in quanto l’assegnatario potrebbe ritrovarsi senza casa semplicemente per il fatto che l’assegnazione non sia stata trascritta.

L’atto di assegnazione deve essere trascritto nei registri immobiliari per garantire che il diritto di abitazione sia protetto anche in caso di vendita o ipoteca dell’immobile da parte del proprietario.

Cass. civ. n. 36101/2019: “La mancata trascrizione dell’assegnazione della casa coniugale rende l’atto inefficace nei confronti dei terzi, che possono far valere diritti sull’immobile indipendentemente dall’assegnazione.”

In tal senso vi segnaliamo il seguente articolo: Come vendere la casa assegnata al coniuge?.

Chi paga l’IMU in caso di assegnazione casa coniugale?

Con un recente sentenza, la Cassazione ha cambiato il proprio orientamento affermando che è tenuto al pagamento dell’IMU (Imposta Municipale Unica) non il proprietario dell’immobile, ma bensì, il coniuge a cui è stata assegnata la casa.

Questo anche se la casa è di proprietà esclusiva dell’altro coniuge.

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FAQ: Assegnazione casa coniugale

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L’assegnazione della casa coniugale è riservata al coniuge con cui convivono i figli minori o non autosufficienti. Il giudice assegna la casa per garantire la continuità abitativa dei figli. In assenza di figli, la casa segue i criteri di proprietà.

La durata dell’assegnazione della casa coniugale è legata alla permanenza delle condizioni che l’hanno giustificata, come la presenza di figli minori o non autosufficienti. Tra le varie cause, in genere, l’assegnazione termina quando i figli raggiungono l’autosufficienza economica.

Il giudice non assegna la casa coniugale quando non ci sono figli minori o non autosufficienti.

Se l’assegnazione della casa coniugale non viene trascritta nei registri immobiliari, l’atto non ha effetto nei confronti di terzi. Ciò significa che un eventuale acquirente o creditore potrebbe far valere i propri diritti sull’immobile, ignorando l’assegnazione disposta dal giudice.

Il pagamento dell’IMU rimane a carico del coniuge assegnatario (e non del  proprietario della casa). Sono a carico di chi abita l’immobile anche le spese di gestione e manutenzione ordinaria.

Sì, l’assegnazione della casa coniugale può essere revocata in diverse circostanze, come il raggiungimento dell’autosufficienza economica da parte dei figli o il nuovo matrimonio o convivenza dell’ex coniuge assegnatario. 

Il diritto di abitazione della casa coniugale deve essere formalizzato da una sentenza o da un accordo omologato dal giudice. È importante trascrivere l’assegnazione nei registri immobiliari per renderla opponibile a terzi e garantire il diritto di abitare l’immobile anche in caso di vendita o ipoteca.

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