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PILLOLE di DIRITTO - Pubblicazioni

Studio Legale Avv. Davide De Matteis

Conto corrente e dichiarazione dei redditi per quantificare il mantenimento

Indice

Su cosa viene calcolato l’assegno di mantenimento?

Per quantificare l’assegno di mantenimento dovuto, il Giudice potrà valutare sia i  soldi nel conto corrente dell’obbligato e sia la sua dichiarazione dei redditi.

Chiaramente il Giudice deve ricostruire tutto il “patrimonio” dei coniugi al fine di valutare attivi, passivi ed il tenore di vita.

La Suprema Corte con la sentenza n. 11504/2017, ha evidenziato che il giudice deve valutare non solo i redditi dichiarati ma anche la reale capacità economica del coniuge, utilizzando il conto corrente e altre fonti patrimoniali come indicatori.

Evidente che questa sia una principio importante, considerato che in una separazione e divorzio, il momento della quantificazione dell’assegno di mantenimento è uno dei più delicati in tutta la causa.

La ricostruzione del patrimonio dovrà essere integrale, cosicché il giudice nel determinare l’importo che un coniuge dovrà versare all’altro deve valutare le capacità economiche, i redditi dichiarati, proprietà immobiliari e le nuove spese, come affitto o mutuo.

Anche questo dato appare pacifico. La Cassazione con la sentenza n. 2732/2018, sottolinea l’importanza di considerare anche le spese future del coniuge, come il mantenimento di una nuova famiglia.

Una cosa però è certa: ingannare il giudice non è così facile come si potrebbe pensare.

Il Giudice può utilizzare diversi strumenti  per valutare le reali capacità economica delle parti. Difatti – specie in caso di attività a rischio di evasione – il Tribunale può ordinare un’integrazione delle indagini, richiedendo, ad esempio, la presentazione degli estratti conto bancari, contabilità, fatture e similari.

Inoltre il Giudice può anche incaricare le Autorità fiscali o incaricare un CTU contabile per effettuare indagini specifiche nel caso in cui si suppone l’esistenze di redditi in nero.

In tal senso la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 12196/2019, ha confermato che la dichiarazione dei redditi non è sempre sufficiente e che le movimentazioni bancarie possono rivelare informazioni essenziali per determinare l’assegno.

Mantenimento: conta più l’Unico o il conto corrente?

La linea della giurisprudenza è quella di sottolineare che in caso di contestazione tra le parti, le dichiarazioni presentate al fisco non hanno valore vincolante per il giudice.

Ecco perché la dichiarazione dei redditi è solo un elemento per verificare la reale situazione patrimoniale dell’onerato. A questo – ogni documento e prova – è utile per aiutare il Giudice nella ricostruzione della capacità reddituale della parte.

La Cassazione si è più volte espressa in questo senso. Nella sentenza n. 189/2018, la Corte afferma che:

il giudice possa andare oltre le dichiarazioni ufficiali e considerare anche il patrimonio immobiliare o altre attività non dichiarate al fisco.

Premesso quanto sopra e rispondendo alla domanda: “Per determinare l’assegno di mantenimento, conta di più la dichiarazione dei redditi o il conto in banca?”, la risposta è che il punto di partenza è il modello Unico, ma il giudice può superare tale dichiarazione e analizzare i movimenti bancari.

La ratio è presto detta:

  • le dichiarazioni dei redditi, essendo di natura fiscale, non assumono rilievo definitivo e vincolante.
  • La movimentazione bancaria e la situazione patrimoniale devono essere lo specchio dei redditi percepiti.

Ne consegue che non vi devono essere discrepanze o incongruità tra il reddito dichiarato e le spese effettivamente sostenute. (sentenza n. 1433/2019 della Corte di Cassazione) 

Usando le parole della Cassazione:

“Le dichiarazioni dei redditi non possono essere considerate una prova definitiva, specie se non certificate da terzi. La movimentazione bancaria diventa così un dato fondamentale per valutare l’effettiva capacità economica di una persona”.

Sostanzialmente se il Giudice ritiene che sussistono delle incongruità e dei redditi non dichiarati, il predetto potrà comunque determinare l’assegno di mantenimento sulla base del proprio convincimento.

Mantenimento: l’indagine sul tenore di vita effettivo

Quanto detto sopra deve chiaramente essere compatibile con tenore di vita effettivo del coniuge.

Così se il conto corrente fosse intestato a terzi (esempio ad un genitore o nuovi partner), il giudice può ricavare elementi utili per la quantificazione del mantenimento analizzando lo stile di vita del coniuge.

Esempio: il coniuge vive in una casa lussuosa; il coniuge può permettersi di mangiare frequentemente in ristoranti costosi; oppure fà frequenti viaggi.

Sono tutte circostanza chiaramente incompatibili con un reddito basso. In questi casi, è legittimo sospettare un’evasione fiscale o un occultamento di redditi.

La Cassazione, nella sentenza n. 11144/2021, ha affermato che il tenore di vita effettivo deve essere preso in considerazione per determinare la reale capacità economica del coniuge, soprattutto quando emergono discrepanze con il reddito ufficialmente dichiarato.

L’assegno di mantenimento ha l’obiettivo di tutelare il coniuge più debole, ed è quindi necessario un accurato accertamento economico per evitare che uno dei coniugi possa eludere i propri obblighi di mantenimento. 

Assegno di mantenimento verso il tramonto?

E’ importante evidenziare che – la recente giurisprudenza – è diventata più attenta  ad alcune situazioni.

In relazione all’assegno di mantenimento per il coniuge lo stesso deve sostanzialmente escludersi nel caso di coniuge giovane e ancora in età lavorativa.

Sostanzialmente la Cassazione afferma che l’assegno di mantenimento non è una garanzia a vita, e chi ha capacità lavorativa deve cercare di sostenersi autonomamente.

Esistono anche le eccezioni. Trattamento diversa si avrà nel caso in cui il coniuge abbia dedicato l’intera vita alla famiglia, compromettendo la propria professionalità.

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