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PILLOLE di DIRITTO - Pubblicazioni

Studio Legale Avv. Davide De Matteis

Assegni familiari non rimborsabili – sentenza Corte Appello Bologna n. 1576/2023

Indice

Svolgimento del processo

La sig.ra Ga. adiva il Tribunale di Bologna con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. esponendo: – di avere il diritto al versamento, da parte del marito separato Ve.Ma., delle somme da costui percepite a titolo di assegni al nucleo familiare erogati dall’INPS, quale madre collocataria del figlio minore della coppia, (…);

– che la collocazione del minore presso la madre era avvenuta nell’ambito del procedimento di separazione dei coniugi, precisamente con il provvedimento del Presidente del Tribunale del 28 settembre 2010, confermato con sentenza di separazione del 4 febbraio 2014, sentenza con la quale il padre era stato condannato al pagamento, in favore della Ga., a titolo di mantenimento del figlio minore, della somma di euro 400,00 mensili oltre il 50 per cento delle spese straordinarie; – che gli assegni familiari erano stati percepiti dal Ve. quale unico genitore all’epoca occupato; – che tali assegni il Ve. avrebbe dovuto versarli alla Ga. sin dalla data di celebrazione dell’udienza presidenziale, essendo la madre il genitore collocatario, e quindi il legittimo “avente diritto”.

Si costituiva in giudizio il convenuto eccependo in primis l’inapplicabilità del rito sommario e l’incompetenza del giudice monocratico; nel merito osservava che nella determinazione dell’assegno di mantenimento posto a carico del padre quale contributo per il figlio il Tribunale della separazione aveva tenuto conto della circostanza che il padre percepiva gli assegni, determinando l’importo mensile sulla base del suo reddito, che comprendeva anche dette somme; che mai nel giudizio di separazione la signora Ga. aveva chiesto che il Ve. le versasse gli importi percepiti a titolo di assegni familiari, pur avendo piena contezza del fatto che era il marito a percepirli; che, in ogni caso, l’eventuale obbligo non poteva decorrere da una data antecedente alla domanda giudiziale. Il Tribunale, svolta istruttoria, respingeva le eccezioni in rito, qualificando espressamente la domanda come domanda di arricchimento senza causa, ed affermando che il Tribunale della separazione non è competente a decidere in merito alla spettanza degli assegni erogati dell’INPS. Richiamava la giurisprudenza secondo cui gli assegni familiari spettano al genitore collocatario. Richiamava anche la sentenza di separazione, osservando che la sentenza non aveva espressamente stabilito che gli assegni de quibus dovessero restare nella disponibilità del Ve.; dalla sentenza, inoltre, non poteva evincersi che nella quantificazione del contributo ordinario si fosse tenuto conto della percezione degli assegni da parte del Ve.

Condannava il medesimo al pagamento degli importi percepiti (euro 2.905,47), a far data dalla domanda giudiziale, ottobre 2017, “in virtù del generale principio processuale della decorrenza delle statuizioni a far data dalla domanda della parte richiedente”. Ritenuta la parziale soccombenza reciproca, compensava le spese di lite.

Ha proposto appello la sig.ra Ga., in ordine alla decorrenza, insistendo per la condanna del Ve. al pagamento di quanto da lui indebitamente percepito sin dalla data del provvedimento presidenziale (euro 13.450,03), e censurando la sentenza quanto a compensazione delle spese di lite. Sul primo punto l’appellante lamenta che il Tribunale non abbia condannato il Ve. a corrisponderle gli assegni dallo stesso indebitamente incamerati a far data dal momento in cui è sorto il suo diritto, ovvero dall’udienza presidenziale di separazione; secondo la sig.ra Ga., in quel momento è sorto il diritto della madre collocataria, e da quel momento è iniziato l’arricchimento senza causa del padre. Inoltre, il Giudice di prime cure è incorso in errore laddove ha condannato l’appellato a restituire alla moglie le somme incamerate solo fino al mese di maggio 2019, anziché sino alla data dell’ordinanza.

Sul secondo punto l’appellante lamenta che il Tribunale non ha applicato il principio di soccombenza, posto che la controversia la vedeva vittoriosa, con conseguente diritto alla rifusione delle spese. Anzi, il Tribunale avrebbe dovuto condannare il Ve. ex art. 96 comma 3 c.p.c., non avendo egli fornito alcuna risposta all’invito alla negoziazione assistita. Si è costituito l’appellato per chiedere il rigetto del gravame.

Eccepisce di non aver affatto percepito gli assegni “illegittimamente”, o “indebitamente” così “depauperando” la moglie, avendo egli, all’epoca, pieno titolo per ottenerli; la sig.ra Ga. non li ha mai domandati, né al Tribunale della separazione, né all’INPS, fino alla proposizione della domanda nel 2017.

Afferma che dalla documentazione prodotta appare evidente che il contributo di mantenimento mensile è stato stabilito dal Tribunale della separazione considerando quale componente del suo reddito anche l’importo degli assegni percepiti.

Afferma di aver corrisposto alla Ga., come da contabili di bonifico allegate, sia la somma di euro 2.905,47, corrispondente a quanto percepito a titolo di assegni familiari per il periodo ottobre 2017/maggio 2019, come indicato dal Tribunale nel provvedimento, sia l’ulteriore somma di euro 254,16 per interessi e rivalutazione monetaria, sia l’ulteriore somma di euro 150,84, corrispondente agli assegni familiari percepiti per la mensilità di giugno 2019, precisando che l’importo di giugno 2019 è l’ultimo importo ricevuto, non avendo egli presentato la domanda per il periodo successivo, al fine di consentire alla Ga. di attivarsi direttamente presso l’INPS.

Sulla compensazione delle spese, osserva che la decisione di primo grado è corretta, vista la rilevante differenza tra l’importo riconosciuto all’odierna appellante come a lei spettante e la domanda da essa proposta.

Motivi della decisione

Ad avviso della Corte, il primo motivo di appello è infondato, non avendo la sig.ra Ga. diritto a percepire gli importi pretesi se non dal momento della domanda, e ciò per varie ragioni. Si richiama la giurisprudenza della Corte di Cassazione (n. 12012/19); nella parte motiva della pronuncia si legge “la Corte di merito ha dato conto che la disciplina degli assegni familiari da corrispondersi dal datore di lavoro al proprio dipendente qualunque ne sia la fonte di previsione, sia essa nazionale L. n. 151 del 1975, ex art. 211 o comunitaria ex Regolamento C.E.E. n. 31 del 1962, è destinata a confluire nella materia degli assegni fissati nei giudizio di separazione e divorzio a titolo di contributo per il mantenimento del figlio minore, veicolata dagli accordi delle parti o le determinazioni del giudice.

Sulla indicata premessa la sentenza impugnata articola la motivazione illustrando l’estraneità, nella fattispecie scrutinata, alle determinazioni giudiziali adottate in sede di separazione e divorzio, degli assegni familiari da corrispondersi al coniuge lavoratore dal datore che sono rimasti, come tali, non computati nelle risorse economiche del genitore non affidatario, tenuto verso l’altro coniuge al contributo per il mantenimento del figlio. La natura degli assegni familiari riconosciuti al funzionario del Parlamento Europeo per fonte regolamentare è questione che, pur distinta, entra a comporre la misura dell’assegno di contributo del coniuge non affidatario per il mantenimento del figlio minore quale suo presupposto, come illustrato nell’impugnata sentenza”.

E’ evidente che la determinazione del contributo di mantenimento del figlio minore imposto al genitore non collocatario tiene conto di qualunque emolumento percepito dal genitore obbligato, nonché della situazione economica dell’altro genitore, del pari obbligato. Nel caso di specie, dati pacifici sono che gli assegni, all’epoca della separazione, fossero percepiti dal Ve., che la Ga. ne fosse perfettamente a conoscenza, che non vi sia stata, nel procedimento di separazione, alcuna domanda della Ga. per gli assegni. Può dirsi che il Tribunale della separazione non si sia specificatamente espresso sugli assegni familiari (in ciò non sollecitato da alcuna delle parti), ma è vero, come sostiene l’odierno appellato, che l’importo del contributo sia stato determinato (come, peraltro, normalmente avviene in casi analoghi), sulla base del reddito complessivo percepito dal Ve., che comprendeva certamente (la circostanza è dimostrata per tabulas, essendo la voce “assegni familiari” indicata nelle buste paga prodotte, e compresa negli importi di cui alle dichiarazioni dei redditi) sulla base del reddito comprendente anche le somme percepite a titolo di assegni familiari, le quali entrano a comporre, come afferma la Corte di Cassazione, la misura del contributo.

A ciò deve aggiungersi che l’accoglimento della domanda così come proposta dalla Ga. si tradurrebbe in una inammissibile rimessa in termini della medesima per la formulazione di domande in precedenza non proposte. Riconoscere, oggi, gli assegni familiari, nella situazione cristallizzata, per il passato, dalla pronuncia di separazione, significa rimettere in discussione la correttezza della determinazione del contributo paterno, al di fuori del procedimento speciale a ciò destinato. Peraltro, è principio consolidato, in materia di domande di mantenimento proposte dal coniuge per sé o per i figli minori, che la decorrenza dell’obbligo non possa precedere la proposizione della domanda. La decisione non può essere retroattiva, come precisato più volte dalla Suprema Corte (n. 8816/20). Quanto alla disposizione del pagamento “fino a maggio 2019” e non fino alla data dell’ordinanza (1 D.M. 55/14luglio 2019), è stato documentato che il Ve. ha percepito gli assegni solo fino a giugno 2019, e ha pagato anche l’importo di giugno, pur non previsto dal Tribunale.

Appare fondato il secondo motivo di appello, inerente la regolamentazione delle spese di lite. E’ vero che la domanda è stata accolta per un importo largamente inferiore a quello preteso, ma è anche vero che il Ve. si era opposto a qualunque pagamento, per cui l’attrice era da considerare parte maggiormente vittoriosa. Ad avviso della Corte, sarebbe stata corretta e corrispondente all’esito del giudizio una compensazione parziale, non totale, delle spese di causa. La sentenza va dunque riformata, solo in punto a spese, che vengono compensate per la metà, per i due gradi. In base al valore della causa, e alla tariffa vigente all’epoca di svolgimento dell’ultima attività difensiva (DM 55/14) si

liquidano, all’intero, in compensi tra i minimi e i medi, per quattro fasi di primo grado e tre fasi di appello, in complessivi euro 3.200,00 per il primo, e euro 3.500,00 per il secondo grado, oltre accessori di legge.

P.Q.M.

La Corte, sull’appello avverso l’ordinanza del Tribunale di Bologna del 21/08/2019 RG 16517/2017, così provvede:

in parziale riforma dell’ordinanza, compensa per la metà le spese dei due gradi, e condanna Ve Ma. al pagamento, in favore dell’appellante, della quota residua delle spese; liquida le spese di lite, all’intero, in complessivi euro 3.200,00 per il primo, e euro 3.500,00 per il secondo grado, oltre rimb. forf. 15 per cento, IVA e CPA.

Così deciso in Bologna il 4 luglio 2023.

Depositata in Cancelleria il 18 luglio 2023.

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