Modifica degli accordi di separazione e limiti del giudice del Divorzio
Secondo la recente sentenza della Cassazione n. 20034/2024, le condizioni contenute negli accordi di separazione consensuale possono essere revocate o modificate dalle successive statuizioni divorzili solo nel caso in cui attengano al cosiddetto contenuto essenziale (o necessario) dell’atto e non laddove siano caratterizzate da un contenuto eventuale (o accessorio).
Nello specifico il giudice del divorzio è colui che deve interpretare le singole clausole dell’accordo di separazione, partendo dal senso letterale, seguendo i criteri di cui agli artt. 1362-1365 c.c. e, in subordine, le regole di cui agli artt. 1366-1371 c.c.
È rilevante notare che anche un accordo di separazione “atipico” può essere considerato come parte del contenuto essenziale dell’atto, con la possibilità di essere revocato o modificato dalle successive statuizioni divorzili.
Il caso: le decisioni contrapposte tra Tribunale e Appello
Il caso riguarda la richiesta di un uomo di ottenere la cessazione degli effetti civili del matrimonio dalla moglie, senza ulteriori condizioni economiche o personali.
Il ricorrente ha basato la sua richiesta su un precedente accordo di separazione consensuale, omologato dal tribunale, che prevedeva un assegno di mantenimento mensile di €6.000,00 per la moglie e l’attribuzione del diritto di godimento della casa familiare.
Il marito per supportare la propria richiesta divorzile “senza ulteriori condizioni”, deduceva il notevole ampliamento dell’attività imprenditoriale della moglie.
La moglie – al contrario – chiedeva un aumento dell’assegno divorzile pari a euro 15.000,00 mensili o, in subordine, in caso di mancata assegnazione della casa coniugale, di euro 25.000,00 al mese.
Il Tribunale ha revocato l’assegnazione della casa coniugale e respinto la richiesta di assegno divorzile della moglie.
Tuttavia, successivamente, la Corte d’Appello ha parzialmente riformato la sentenza, attribuendo un assegno divorzile di €3.500,00 mensili e mantenendo l’assegnazione della casa coniugale alla moglie.
L’uomo proponeva ricorso principale in Cassazione e l’ex moglie ricorso incidentale. La Suprema Corte cassa con rinvio la decisione impugnata.
La soluzione della Corte di Cassazione
Sostanzialmente la Suprema Corte risponde al seguente quesito:
la previsione di concessione in godimento della casa coniugale alla moglie non proprietaria contenuta in un accordo di separazione tra coniugi, senza figli, omologato dal Tribunale, può essere revocata dal giudice del divorzio?
La Corte di Cassazione, accogliendo tre motivi del ricorso principale, ha annullato la sentenza d’appello.
Il quesito centrale riguardava la possibilità per il giudice del divorzio di revocare l’assegnazione della casa coniugale nei casi in cui l’accordo di separazione prevedeva una concessione di godimento della casa stessa alla moglie non proprietaria.
Per arrivare alle conclusioni la Corte di Cassazione ha chiarito la differenza tra contenuto essenziale e contenuto eventuale negli accordi di separazione.
Si definiscono condizioni di contenuto essenziale quelle che devono essere presenti nell’accordo per permettere che esso venga giuridicamente ad esistenza e sia produttivo di effetti e che riguardano il consenso dei coniugi a vivere separati, il mantenimento del coniuge e dei figli, l’affidamento e il collocamento di questi ultimi, l’assegnazione della casa familiare.
Al contrario sono condizioni di contenuto eventuale quelle che le parti possono includere volontariamente nell’accordo e la cui assenza non va ad incidere sull’efficacia e sulla validità dell’accordo stesso, trattandosi di un contenuto collegato solo occasionalmente ai diritti e agli obblighi derivanti dal matrimonio (a titolo esemplificativo, la divisione dei beni in comunione, la destinazione degli animali domestici, la disciplina del godimento della casa di vacanza, ecc.).
La Cassazione conclude che le condizioni essenziali, come il mantenimento o l’assegnazione della casa familiare, possono essere modificate o revocate in sede di divorzio, mentre quelle eventuali non possono subire modifiche automatiche.
La distinzione tra pattuizione tipiche e atipiche
La distinzione tra condizioni essenziali ed eventuali non è pero sufficiente.
Difatti, la Corte di Cassazione svolge un ulteriore considerazione e specifica che i due contenuti appena citati non corrispondono automaticamente alla distinzione tra pattuizioni tipiche (contenuto essenziale) o atipiche (solitamente contenuto eventuale).
Le parti, infatti, possono prevedere modalità atipiche di regolamentazione dei loro rapporti a seguito della separazione che, però, attengono al contenuto essenziale delle condizioni di separazione.
In tal senso sebbene pattuizioni atipiche, queste ultime sono comunque da riferirsi ad un contenuto essenziale dell’accordo.
Sarà il giudice del merito a dover interpretare correttamente le clausole e determinare se esse fanno parte del contenuto essenziale. Solo in tal caso, tali clausole potranno essere revocate o modificate in sede di divorzio.
Al contrario, le clausole dell’accordo separativo, caratterizzate dal contenuto eventuale (e, dunque, semplicemente “occasionate” dalla procedura separativa), sono assoggettate alla disciplina propria dei negozi giuridici e il giudice del divorzio non può revocarle o modificarne il contenuto.
Interpretazione e Applicazione
La Suprema Corte spiega che la prima valutazione che il giudice è chiamato a fare è quella di far riferimento al senso letterale delle parole e delle espressioni adoperate.
Solo laddove tale senso risulti ambiguo, il giudice ricorrerà ai canoni strettamente interpretativi previsti dall’art. 1362 all’art. 1365 c.c. e, ancora, in caso di loro inadeguatezza, a quelli interpretativi integrativi previsti dall’art. 1366 c.c. all’art. 1371 c.c.
In tal senso la Cassazione aveva già affermato che:
“per individuare la comune intenzione delle parti il giudice deve preliminarmente procedere all’interpretazione letterale dell’atto negoziale e delle singole clausole singolarmente e le une per mezzo delle altre. Il criterio previsto dall’art. 1367 c.c. ha carattere integrativo e sussidiario e postula che il giudice non sia stato in condizione di individuare il comune intento delle parti attraverso l’utilizzazione dei criteri previsti dalle precedenti disposizioni (artt. 1362 e ss. c.c.); in caso contrario, l’interpretazione conservativa non può aver luogo», e Cass. n. 33451/2021, in cui si legge che «solo se il dato letterale della norma possa risultare ambiguo, può farsi ricorso agli altri canoni strettamente interpretativi (art. 1362-1365 c.c.) e, in caso di insufficienza, a quelli interpretativi integrativi previsti dagli artt. 1366-1371 c.c.”
Osservazioni Finali
Questa sentenza della Cassazione traccia una linea guida chiara per i giudici del divorzio sulla distinzione tra pattuizioni tipiche e atipiche, con importanti implicazioni sulla revocabilità degli accordi di separazione consensuale.
Una corretta interpretazione degli accordi di separazione sarà essenziale per determinare se una clausola può essere soggetta a modifiche in sede di divorzio.