Mantenimento Figlio Maggiorenne: Cosa Dice la Cassazione 2024
Il mantenimento di un figlio maggiorenne è un tema complesso che richiede l’analisi di situazioni individuali. La recente sentenza della Cassazione Civile, Sez. I, 09/12/2024, n. 31564, ha fornito chiarimenti importanti su questo argomento.
Quando Cessa l’Obbligo di Mantenimento?
L’obbligo di mantenimento da parte del genitore termina quando il figlio raggiunge l’autosufficienza economica. Tuttavia, questa condizione deve essere valutata caso per caso. La sentenza evidenzia che:
Età Adulta: Il raggiungimento di un’età in cui il percorso di studi è normalmente concluso rappresenta un indicatore.
Inerzia Colpevole: La persistente mancanza di autosufficienza economica, senza giustificazioni oggettive o personali, può configurare un comportamento inerte e colpevole.
Quali Sono le Cause Giustificative?
Per evitare che l’obbligo di mantenimento cessi, il figlio deve dimostrare la presenza di cause specifiche:
Motivi Di Salute: Condizioni fisiche o mentali che limitano l’accesso al lavoro.
Contingenze Oggettive: Difficoltà nel reperire o mantenere un’occupazione adeguata.
Impegno Dimostrato: Sforzi concreti verso un percorso di formazione o inserimento lavorativo.
Prove Necessarie
È indispensabile che il figlio maggiorenne:
Allegi e provi puntualmente eventuali ostacoli personali.
Dimostri di non aver trascurato opportunità realistiche per raggiungere l’indipendenza economica.
Cosa Significa Per i Genitori?
I genitori possono richiedere la revisione dell’obbligo di mantenimento se:
Il figlio non ha intrapreso alcuna iniziativa per costruire un percorso autonomo.
Non sussistono cause oggettive che giustifichino la mancata autosufficienza economica.
Cassazione Dicembre 2024: Stop al Mantenimento per Inerzia Colpevole
Cassazione civile 09/12/2024 n.31564
FATTI DI CAUSA
- Con ricorso ex art. 710 cod. proc. civ.e art. 9 L. n. 898/1970Ca.Gi. chiedeva la revisione delle condizioni di divorzio vigenti tra lui e l’ex moglie, Va.Io., instando per la revoca degli assegni di mantenimento (e di ogni altro onere a qualsiasi titolo gravante su di lui) in favore dei due figli Ca.Si. e Ca.Se. e, in subordine, per la riduzione di quello a favore di Ca.Se. in € 300,00. Si costituivano in giudizio la Va.Io. e i figli, deducendo che Ca.Se. non aveva potuto portare a compimento gli studi universitari proprio per l’inadempimento del padre al suo obbligo di contribuire, nella misura del settanta per cento, al pagamento delle tasse universitarie, mentre la figlia maggiore, avendo contratto matrimonio nel 2019, aderiva alla richiesta di revoca, pur non rinunciando a tutti i crediti maturati e maturandi in corso di accertamento nei giudizi pendenti contro il padre. Chiedevano pertanto la conferma dell’assegno di mantenimento nella misura di € 1.200,00, con adeguamento Istat, o di altra somma riconosciuta di giustizia in favore di Ca.Se. Con decreto pubblicato in data 21 dicembre 2020, il Tribunale di Bari accoglieva la domanda, revocando ogni onere economico del padre nei confronti di entrambi i figli. Con decreto n. 937/2021, depositato in data 7 ottobre 2021, la Corte di Bari rigettava il reclamo proposto da Va.Io. e Ca.Se. avverso il citato provvedimento. Riteneva la Corte di merito non provata l’assoluta impossibilità economica della Va.Io. ad anticipare il pagamento delle tasse universitarie, salvo rimborso, da parte dell’altro genitore obbligato; riteneva altresì sussistente la prova che l’altra figlia della coppia, pur scontando il medesimo inadempimento all’obbligo di versamento da parte del padre, era comunque riuscita a concludere il percorso universitario, impegnandosi a perseguire l’obiettivo; dette evidenze, unitamente all’età raggiunta dal figlio Ca.Se., alla mancata conclusione del percorso scolastico triennale in giurisprudenza dallo stesso prescelto senza essersi determinato a raggiungere una propria autonomia e indipendenza economica, costituivano elementi idonei a far venire meno in capo allo stesso il diritto al mantenimento prescindendo da ogni valutazione in merito alle capacità reddituali del padre.
- Con ordinanza n.32727/2022 la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso proposto dalla Va.Io. e dal figlio Ca.Se. avverso il citato decreto, sul rilievo che la valutazione della complessiva condotta tenuta da parte dell’avente diritto (dal momento del raggiungimento della maggiore età in poi), non poteva prescindere dal pregiudiziale accertamento circa l’assolvimento, da parte del genitore gravato, dell’obbligo di mantenimento, perdurando tale obbligo finché il genitore interessato non avesse dato prova che il figlio aveva raggiunto l’indipendenza economica, ovvero che era stato posto nelle concrete condizioni per potere essere economicamente autosufficiente, senza averne però tratto utile profitto per sua colpa o per sua scelta (cfr. Cass., 1830/2011; id., 1773/2012; id., 38366/2021). Nella specie, la Corte d’Appello, di fronte alla deduzione della madre e del figlio circa il comportamento inadempiente del padre, che aveva reso impossibile al figlio di sostenere gli esami stante il mancato pagamento delle tasse universitarie fin dai primi anni di studio, aveva ritenuto che fosse onere della madre e del figlio provare che fosse per loro impossibile pagare autonomamente gli studi universitari in luogo del padre tenuto all’obbligo del mantenimento (e che non aveva fornito la prova del suo adempimento), finendo così per accollare all’altro genitore l’onere di provare l’assoluta impossibilità di anticipare il pagamento delle tasse universitarie del figlio ed al contempo omettendo la corretta valutazione di fatti decisivi per il giudizio. Il decreto impugnato veniva così cassato con rinvio alla Corte d’Appello in diversa composizione, affinché provvedesse alla luce dei principi di diritto sopra richiamati e, altresì, alle spese del giudizio di legittimità.
- Con decreto pubblicato il 2-5-2023 la Corte d’Appello di Bari, pronunciando quale giudice del rinvio all’esito dell’ordinanza di questa Corte n.32727/2022, ha rigettato l’appello proposto dalla Va.Io. e dal figlio Ca.Se. La Corte di merito ha preliminarmente richiamato il principio espresso con la citata ordinanza di questa Corte, secondo cui “Nel caso di specie, viene quindi in rilievo la questione dell’assolvimento, da parte del genitore gravato, dell’obbligo di mantenimento, che costituisce la condizione imprescindibile per lo sviluppo professionale e personale del figlio maggiorenne, il quale deve essere posto nelle concrete condizioni per poter essere economicamente autosufficiente”. La Corte di merito ha rilevato che era un dato incontestato il fatto che, sino al 2017, il padre aveva corrisposto con continuità il mantenimento ordinario al figlio, comprese le tasse universitarie (rientranti nel 70% delle spese straordinarie poste a suo carico); anche successivamente, il padre aveva continuato a versare il mantenimento ordinario di € 600,00 mensili, come previsto nelle statuizioni del divorzio e, dal 2017, il figlio non aveva più dato esami. Sul punto, sia la Va.Io. che il figlio avevano attribuito all’omesso versamento delle tasse universitarie da parte del genitore obbligato il mancato completamento del ciclo universitario triennale, perdurante dal 2009; in particolare deducevano nel ricorso in riassunzione che lo studente non in regola con il pagamento delle tasse universitarie, non può sostenere esami, sicché la responsabilità dell’omesso completamento del percorso di studi da parte di Ca.Se. era ascrivibile alla condotta del padre, che aveva viceversa fornito all’altro figlio, avuto dalla nuova relazione, i mezzi per poter studiare e mantenersi a M presso l’università (…), facendo invece mancare a Ca.Se. i mezzi per poter studiare a B. La Corte di merito ha rimarcato che, all’epoca in cui era stato introdotto il ricorso (2020), il figlio Ca.Se. era già al settimo anno fuori corso. La Corte d’Appello ha rimarcato che il padre aveva documentato che l’inadempimento relativo unicamente al mancato pagamento delle tasse universitarie si era concretizzato per il solo biennio 2018 – 2019 e per una somma di € 1.034,60, poiché il padre aveva provveduto a corrispondere le tasse universitarie anche per il 2020 in data 17.11.2020, come da documento prodotto in atti. A fronte di tali elementi offerti dal padre a sostegno del proprio onere probatorio, il figlio non aveva giustificato – se non con il (parziale) inadempimento del padre – il mancato raggiungimento in termini ragionevoli dell’obiettivo rappresentato dal completamento degli studi universitari, tenuto conto che l’inadempimento del padre agli obblighi di mantenimento nei confronti del figlio non è stato totale, ma si è verificato per la sola quota di tasse universitarie dal 2017 in poi e per una somma complessiva di € 1.034,60 (come da decreto ingiuntivo proposto dinanzi al Giudice di Pace). La Corte di merito ha quindi ritenuto che, anche valutando comparativamente e complessivamente le rispettive posizioni, il mancato completamento del percorso di studi universitari fosse stato causato non dall’inadempimento del genitore, quanto piuttosto dall’ inerzia colpevole del figlio, che, alla data del ricorso (2020), non aveva dato un esame da tre anni (l’ultimo risaliva al 2017).
- Avverso questa sentenza Va.Io. e Ca.Se. propongono ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, resistito con controricorso da Ca.Gi.
- Il ricorso è stato fissato per la trattazione in camera di consiglio. Le parti hanno depositato memorie illustrative.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
- I ricorrenti denunciano
- i) con il primo motivo la violazione degli 132, comma 2, n. 2 c.p.c., 111 cost. comma 1, in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.e la nullità della sentenza per motivazione apparente, in relazione alla circostanza che nel 2017 la sorella Ca.Si. aveva ultimato il suo percorso di studi universitari solo perché di tre anni più grande, circostanza reputata dalla Corte di merito non decisiva con una motivazione solo apparente; deducono che, a loro avviso, il Giudice di legittimità aveva ritenuto decisivi i fatti che Ca.Si. si era laureata nel 2017 perché più anziana di tre anni e perché fino a quel momento aveva usufruito del contributo paterno, mentre il fratello, minore di tre anni, nel 2017 aveva arrestato il suo percorso universitario proprio in corrispondenza dell’interruzione del contributo paterno; la Corte barese, pur riesaminando questi fatti, ha affermato che la “condotta” della prima figlia, poiché si era laureata, era stata “diversa” rispetto a quella del fratello, reiterando la motivazione censurata con il primo ricorso per cassazione; non era comprensibile il percorso logico seguito dalla Corte di merito, che in realtà si era rifiutata di esaminare fatti decisivi
- ii) con il secondo motivo, ai sensi dell’ 360 n. 4 c.p.c.la violazione dell’art. 384, secondo comma c.p.c., ossia la violazione del principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione e dei presupposti logico-giuridici dell’ordinanza di rinvio; nel riportare nel ricorso la parte motiva della citata ordinanza di questa Corte rilevano che la differenza tra la posizione del genitore richiedente l’esonero e quella del figlio sta nel semplice fatto che egli richiede l’eliminazione di un obbligo su di lui gravante per legge e provvedimento, sicché egli, per poter sostenere che il figlio non ha messo a frutto il contributo agli studi fornitogli, necessariamente deve prima provare di averlo fornito, questo contributo; per due anni (2018 e 2019) il genitore obbligato pacificamente non aveva pagato le tasse universitarie, sicché egli non aveva affatto assolto al suo onere della prova di aver adempiuto ai propri obblighi, e l’ulteriore indagine – peraltro nel merito ritenuta erronea e non rilevante ai fini del presente giudizio – compiuta dal collegio barese in ordine alla rilevanza o meno, “comparativamente”, tra l’inadempimento del padre e quello del figlio, era chiaramente preclusa dal principio di diritto enunciato dalla Corte;
iii) con il terzo motivo, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 337 septies c.c., per avere la Corte barese affermato che il padre aveva assolto all’onere della prova sullo stesso gravante, poiché aveva richiesto di ricevere dal figlio, ormai abbondantemente maggiorenne, i bollettini delle tasse universitarie per far fronte direttamente al pagamento, e invece avrebbe dovuto versare le somme, come previsto dalla legge e dal provvedimento in vigore tra le parti, alla madre (pacificamente legittimata attiva in questo giudizio quale titolare, per provvedimento originario, del relativo diritto di credito) oppure al figlio, nel frattempo divenuto maggiorenne; tale tesi, ad avviso dei ricorrenti, contrasta apertamente con le norme in tema di assegno di mantenimento, sulla base delle quali il giudice, (non lo stesso genitore onerato, autonomamente e arbitrariamente, cfr. Cass. n. 9700/2021), valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni il pagamento.
- In via pregiudiziale, va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per tardività, sollevata dal controricorrente, atteso che le Sezioni Unite di questa Corte, con la pronuncia n.12946/2024, hanno chiarito che i giudizi e i procedimenti, anche di revisione delle condizioni di separazione o di divorzio, nei quali si discuta del contributo al mantenimento del coniuge o dei figli, ovvero dell’assegno divorzile, sono soggetti alla disciplina sulla sospensione dei termini processuali nel periodo feriale, salvo che non ricorra il decreto di riconoscimento dell’urgenza della controversia ex art. 92 del R.D. n. 12 del 1941, nel presupposto che la sua ritardata trattazione possa provocare grave pregiudizio alle parti.
- I motivi, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono infondati e in parte inammissibili.
3.1. La Corte d’Appello si è attenuta ai principi di diritto affermati nell’ordinanza n.32727/2022 poiché, contrariamente a quanto si sostiene in ricorso, al giudice del rinvio era stato demandato di accertare se il figlio maggiorenne era stato posto nelle concrete condizioni per potere essere economicamente autosufficiente e dunque di accertare se l’inadempimento contestato al padre (relativo solo al mancato pagamento delle tasse universitarie – 70% – per il biennio 2018-2019, non anche al mantenimento come da assegno di € 600 mensili, sempre versato fino alla sentenza del Tribunale di revoca dell’assegno stesso) avesse avuto incidenza sul mancato raggiungimento dell’indipendenza economica del figlio, sì da giustificare la conservazione dell’assegno di mantenimento.
3.2. Chiarito questo, la Corte di merito ha compiutamente e in dettaglio riesaminato i fatti, ha accertato che l’iscrizione all’Università in un corso di laurea triennale in giurisprudenza da parte del figlio, nato il 26.11.1991, era avvenuta nel 2009, che quindi nel 2017 il figlio, dopo otto anni, era già ampiamente fuori corso e comunque la madre aveva pagato le tasse universitarie (chiedendone il rimborso al padre con ingiunzione davanti al giudice di pace). La Corte d’Appello ha, pertanto, conclusivamente ritenuto che fosse imputabile all’inerzia colpevole del figlio il mancato completamento del corso di studi e la sua mancata indipendenza economica.
Orbene, la decisione inerente al merito della debenza del contributo di mantenimento rileva, contrariamente a quanto si sostiene in ricorso, nel senso che l’accertamento di merito demandato al giudice del rinvio è stato effettuato correttamente ed è stato anche congruamente motivato. Da quell’accertamento meritale è conseguito il rigetto dell’appello, ossia la conferma della statuizione del Tribunale di revoca del mantenimento del figlio.
In questo contesto, le censure espresse con i motivi primo e secondo (motivazione apparente e illogica ma solo sul fatto della laurea dell’altra figlia; omessa valutazione comparativa delle condotte del padre e del figlio) sono infondate perché il ragionamento decisorio è chiaro e coerente, anche in ordine all’irrilevanza delle vicende relative alla sorella, che, tra l’altro, concerne una valutazione meritale.
Le doglianze sono inammissibili nella parte in cui “interpretano” il dictum dell’ordinanza di questa Corte in modo non rispondente all’iter argomentativo ivi espresso, focalizzato sulla dimostrazione del nesso causale tra il lamentato inadempimento del padre e il mancato completamento del percorso di studio del figlio, sicché, in questa cornice, la laurea dell’altra figlia non era posta, né avrebbe potuto affatto porsi, in termini di decisività, essendo al più un elemento di contorno o indiziario.
3.3. Il terzo motivo è inammissibile perché la censura è inconferente rispetto al decisum e comunque si tratta di fatti accertati dalla Corte d’Appello (documentata richiesta del padre, rimasta inevasa, di ricevere i bollettini di pagamento delle tasse universitarie – come da PEC 29.09.2017, del 5.10.2017 e dell’8.04.2019 – per far fronte direttamente ai relativi versamenti) e valorizzati solo come indizi.
La Corte di merito ha ritenuto, inoltre, non sufficientemente comprovate le altre ragioni individuali specifiche, allegate dalla Va.Io. e dal figlio Ca.Se. (ovvero la frustrazione derivante dall’abbandono paterno, lo stress dovuto alle numerose azioni giudiziarie intentate per costringere il padre all’adempimento dei propri doveri, e la prostrazione comparsa a seguito del procedimento penale) per giustificare l’inerzia. La Corte d’Appello ha, dunque, escluso, sulla base del compendio probatorio e con motivazione congrua, che il (parziale) inadempimento del padre fosse stato la causa del mancato raggiungimento del risultato scolastico, mentre “gli elementi presuntivi offerti dal ricorrente in ordine all’allegata colpevole inerzia del figlio rispetto al percorso prescelto, in relazione al dato obiettivo dell’età del figlio medesimo (ormai ultratrentenne), inducono a ritenere che il mancato pagamento delle tasse universitarie da una certa epoca in poi, allorquando il figlio aveva superato il settimo anno fuori corso, costituisca una mera giustificazione, non appagante a fronte del mancato impegno delle proprie energie personali verso la continuazione meritevole degli studi. E, peraltro, deve escludersi che il pagamento delle tasse universitarie dovesse avere una durata illimitata, a fronte del mancato perseguimento di un risultato che doveva attendersi sin dal 2012, stante il pagamento delle tasse sino al 2017; il riferimento alle difficoltà personali, dovute agli screzi col padre e all’avvio da parte di questi di iniziative giudiziarie anche penali, volte alla mortificazione dei diritti del figlio, non può invero giustificare la persistenza dell’obbligo di mantenimento, perché, alla data del ricorso (2020), il figlio non dava esami da tre anni ed era già al settimo anno fuori corso. Peraltro, anche per il 2020, il padre ha corrisposto le somme per le tasse universitarie del figlio” (pag. 11 della sentenza impugnata).
La Corte di merito si è correttamente attenuta, anche sotto tale profilo, ai principi costantemente affermati da questa Corte, e richiamati anche nella sentenza impugnata, secondo cui, con il raggiungimento invero di un’età nella quale il percorso formativo e di studi, nella normalità dei casi, è ampiamente concluso, la condizione di persistente mancanza di autosufficienza economico reddituale, in mancanza di ragioni individuali specifiche (di salute, o dovute ad altre peculiari contingenze personali, od oggettive quali le difficoltà di reperimento o di conservazione di un’occupazione), costituisce un indicatore forte d’inerzia colpevole. Ne consegue che gli ostacoli personali al raggiungimento dell’autosufficienza economico reddituale, in una fase di vita da qualificarsi pienamente adulta sotto il profilo anagrafico, devono venire puntualmente allegati e provati, se collocati all’interno di un percorso di vita caratterizzato da mancanza d’iniziativa e d’impegno verso un obiettivo prescelto (tra le tante Cass. 38366/2021).
- In conclusione, il ricorso va complessivamente rigettato.
Le spese di lite del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del D.P.R. 115 del 2002, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, ove dovuto (Cass. S.U. n. 5314/2020).
Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.
PQM
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso;
condanna i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese di lite del presente giudizio, liquidate in € 3.700,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali (15%) ed accessori, come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma il 10 ottobre 2024.
Depositato in Cancelleria il 9 dicembre 2024.